Ministro Franceschini, c’è un tesoro nascosto nel cuore di Roma. A che punto siamo con Villa Albani?

Immerso in un enorme parco, superstite dell’urbanizzazione ricca ma selvaggia del Quartiere Parioli, si trova uno dei capolavori mondiali dell’architettura del Settecento. Sto parlando di Villa Albani, forse il tesoro nascosto più prezioso di Roma, che dopo vari anni di tentativi infruttuosi ho finalmente avuto l’opportunità di visitare.

Voluta dal cardinale Alessandro Albani, il ricco e dotto nipote di Papa Clemente XI, comprende un sontuoso palazzo decorato con affreschi, marmi e gran parte dell’arredamento originale, nonché il citato giardino, disseminato di padiglioni e fontane, chiuso dall’emiciclo del Coffee-house.

La Villa conserva la collezione privata di antichità più importante del mondo (una cui parte è anche in un deposito a Trastevere), fra cui spiccano decine di statue romane a grandezza naturale come l’Hestia Giustiniani, sarcofagi, urne, busti, nonché un ciclo di affreschi con raffigurazioni di miti troiani ed etruschi proveniente da uno dei più celebri sepolcri di Vulci, la Tomba François, del IV secolo a. C.

Il Cardinal Albani fece curare la collezione dal suo bibliotecario Johann Joachim Winckelmann, uno dei teorici della moderna storia dell’arte greco-romana, che proprio nella Villa lavorò diversi anni. Alla raccolta di antichità si aggiunge poi quella di dipinti: del Perugino, di Vanvitelli, Guercino e tanti altri, nonché la volta affrescata con il Parnaso di Anton Raphael Mengs, illustrata in tutti i manuali di storia dell’arte neoclassica.

Il proprietario di questo immenso patrimonio è il quattro volte principe Alessandro Torlonia-Borghese, banchiere nonché assistente al soglio pontificio, la carica laica più elevata alla corte papale, che spetta in via ereditaria ai capifamiglia dei Torlonia e dei Colonna.

La Villa non è mai stata aperta al pubblico ma la collezione di antichità dei Torlonia un tempo lo era. Non è più così da decenni. Lo scorso anno, però, sembrava essere arrivata una svolta. Il Ministero della cultura (Mibact) aveva firmato con gli eredi Torlonia un accordo che prevedeva l’esposizione al pubblico della collezione, prima attraverso una grande mostra curata da Salvatore Settis a Roma e in giro per il mondo, poi in via permanente in una prestigiosa sede della Capitale. La mostra, comunicati alla mano, si sarebbe dovuta tenere nel 2017. Ho interpellato il Professor Settis sulla questione, che mi comunica che la mostra si terrà invece a fine 2018.

È importante che, a maggior ragione negli ultimi mesi della legislatura, la vicenda della collezione Torlonia torni a essere una priorità del governo, perché se in futuro cambiassero gli interlocutori potrebbe cambiare anche la volontà politica. E Roma non si può permettere di fare allontanare ancora una volta la riappropriazione di questa straordinaria raccolta archeologica.

Anche il sindaco Raggi dovrebbe avere ben presente che l’apertura al pubblico di una collezione così importante è un’opportunità da non perdere per la città, forse paragonabile ai benefici derivanti dalla realizzazione del Museo Maxxi o dell’Auditorium.

Dirimente diventa la scelta della sede permanente della collezione. Su questo sono circolate varie ipotesi, fra le quali il Palazzo Valentini, un pregevole edificio nel centro di Roma, sede della Provincia e della Prefettura. Sarebbe un’ottima cosa ma bisognerebbe negoziare con questi due organismi una convivenza difficile o un costoso trasferimento.

Certo: la soluzione migliore rimane quella di conquistare l’apertura al pubblico di Villa Albani, anche perché alcune delle stanze della Villa sono state pensate e decorate in funzione di alcune opere della collezione. Tanto più che la Villa non è abitata.

Esistono però delle alternative altrettanto valide, che in più potrebbero comportare il recupero di beni di inestimabile valore, fortemente degradati. Segnalo, per esempio, che a Roma attualmente esistono due palazzi rinascimentali di primaria importanza, che versano da anni in stato di vergognoso abbandono. Il primo, il Palazzo del Governo Vecchio, situato nell’omonima via, è un grande complesso fra i primi e migliori esempi dell’architettura quattrocentesca romana, voluto dal Cardinale e governatore di Roma, Stefano Nardini.

Dopo interminabili vicissitudini burocratiche e restauri a singhiozzo, il Palazzo, di proprietà della Regione Lazio, è tuttora chiuso, con alle finestre teli di plastica ormai consumata al posto dei vetri (gli affreschi ne stanno risentendo?). Lo stesso (e cioè plastica strappata alle finestre di stanze affrescate) vale da anni per il Palazzo e relativo parco con vista sul Colosseo e sul Palatino che Eurialo Silvestri, maestro di Camera di Papa Paolo III Farnese, si fece costruire sulle propaggini del Colle Oppio. Appartenente a un ente religioso, giace inutilizzato da anni.

Il buonsenso, nonché il rispetto della normativa vigente, vorrebbero che, constatato lo stato di persistente abbandono e il pericolo di danni permanenti alle decorazioni, questi due palazzi siano forzatamente destinati alla fruizione da parte della collettività. È chiedere troppo?

La lista potrebbe purtroppo continuare con la maestosa villa di campagna fatta costruire da Papa Pio V Ghislieri, anch’essa in stato di semi-abbandono, che si intravede percorrendo Via Gregorio VII, a pochi passi dal Vaticano. Recentemente è stata scelta come propria (futura?) sede dalla Università degli Studi Link Campus University: c’è da sperare che il progetto vada avanti, anche se il fatto che sia ancora online una raccolta fondi fa immaginare che i lavori non siano neanche iniziati.

(da “Huffingtonpost”)

Per ulteriori informazioni: http://www.huffingtonpost.it/dario-pasquini/ministro-franceschini-villa-albani_a_23231326/?ncid=fcbklnkithpmg00000001